Per lega si intende una soluzione solida di due o più elementi miscibili allo stato liquido. Ogni tipo di restauro dentale richiede una lega ben precisa. È normalmente compito dell’odontotecnico, in team con l’odontoiatra, scegliere, a seconda dei casi, tra le numerose formule messe a punto dai produttori di leghe per protesi dentali, a seconda delle caratteristiche metallografiche delle stesse. Scopriamo alcuni requisiti!
Il problema della resistenza alla corrosione delle leghe dentali considerate singolarmente o in abbinamento con altre leghe è di fondamentale importanza e oggetto di numerosi studi e svariate proposte di regolamentazione e normative. Nell’ambito delle norme ISO (International Organisation for Standardization) e delle norme EN (European Norms) sono indicate espressamente le prove alle quali sottoporre appositi provini delle varie leghe per controllarne la resistenza alla corrosione chimica. Queste determinazioni vengono eseguite normalmente su qualsiasi lega di nuova concezione prima di immetterlo sul mercato.
STABILITÀ E COSTANZA. IN UNA PAROLA: AFFIDABILITÀ
Un aspetto molto importante nell’utilizzo di leghe dentali è quello di avere a disposizione un prodotto che mantenga caratteristiche costanti e controllate nelle varie partite o produzioni.
È importante sottolineare un aspetto della corrosione elettrochimica che può instaurarsi anche in casi di manufatti costituiti da un’unica lega con porosità iniziali dovute ad una cattiva fusione o lavorazione. Come ampiamente spiegato in letteratura e verificato in pratica, fusioni porose possono dar luogo a fenomeni di autocorrosione. Il potenziale di una lega è infatti influenzato dal PH della soluzione di contatto. All’interno delle porosità, depositi, ristagni di saliva ed eventuali fermentazioni provocano una variazione di PH rispetto alla superficie della stessa lega esterna, bagnata continuamente da saliva nuova. Tra le due parti dello stesso manufatto si possono quindi instaurare differenze di potenziale che portano ad una formazione di ioni metallici, alla formazione di ossidi e a fenomeni di imbrunimento fortemente antiestetici (in particolar modo con leghe contenenti elementi che danno ossidi di colore bruno).
L’IMPORTANZA DEL C.E.T.
Il coefficiente di espansione termica è importantissimo per l’abbinamento di leghe e di masse ceramiche. In linea di massima il coefficiente di espansione termico della lega deve sempre essere leggermente superiore a quello della ceramica in quanto quest’ultima sopporta molto bene carichi compressivi ma è vulnerabile a tensioni anche minime.
Occorre quindi fare in modo che durante i raffreddamenti successivi alle cotture delle varie fasi di ceramizzazione si abbiano forze compressive sulle masse ceramiche evitando tensioni.
Per determinare il C.E.T. delle leghe si seguono le indicazioni contenute nella norma ISO9693 (riferita ai sistemi metallo-ceramica). Occorre quindi preparare i provini di lega utilizzando il metodo di fusione a cera persa. I provini preparati sono dei tondini con un diametro di circa 5 mm o più. Questi provini devono essere trattati termicamente in forno a 950° C per 10 minuti e lasciati raffreddare lentamente.
Dopo calibrazione del diametro e parallelizzazione delle facce piane, si pone il provino in un apparecchio denominato dilatometro. Si appoggia un tastatore su una delle due facce piane, si inizia ad innalzare la temperatura da 25° C fino ad oltre 600° C. Il provino subirà una dilatazione e il tastatore la trasmetterà ad un sistema di rilevazione. Con opportuni calcoli si risalirà al valore C.E.T. espresso in milionesimi (10-6) di allungamento riferiti alla lunghezza iniziale per l’aumento di 1° C. Così per esempio 14 · 10-6 /°C significa che sulla lunghezza di 1 metro si avrebbe l’allungamento di 14 micron per ogni ° C di aumento (1.000° C corrisponderebbe quindi ad una espansione di 14 millimetri).
Il C.E.T. così determinato dipende esclusivamente dalla composizione chimica della lega. Alcuni elementi abbassano il C.E.T. (elementi altofondenti), altri elementi lo innalzano (elementi bassofondenti – come ad esempio Indio e Gallio). Nel valutare questo parametro e confrontandolo tra leghe simili di ditte diverse occorre tenere presente che alcuni elementi cosiddetti “modificatori” lo influenzano anche se presenti in quantità modeste. Le apparecchiature di determinazione, nel caso della medesima lega e di provini standardizzati secondo normativa possono indicare differenze minime tra di loro.
Un processo molto importante nell’ambito dei trattamenti termici da effettuare su metalli o leghe atto ad eliminare differenze nella composizione è l’omogeneizzazione (o ricristallizzazione). Riscaldando una lega fino ad una temperatura inferiore a quella del solidus ma sufficientemente elevata, si ottiene una diffusione atomica con ridistribuzione degli atomi nel reticolo.
Raggiungiamo in questo modo un grado di stabilità sicuramente superiore a quello presente dopo la solidificazione. La conoscenza del trattamento termico ideale per ottenere la migliore omogeneizzazione del reticolo è cosa molto importante per avere leghe più stabili, unitamente all’ottenimento di una ossidazione superficiale del metallo. In linea generale, il trattamento termico indicato dalla casa produttrice per l’ossidazione superficiale è sufficiente anche per il trattamento preliminare di omogeneizzazione. Questo trattamento influisce sulla struttura cristallina della lega indipendentemente dalle condizioni impostate nella camera di cottura (atmosfera, vuoto). Sono invece fondamentali, entro certi limiti, la temperatura e il tempo di trattamento. L’indicazione e l’utilizzo delle condizioni fornite dalla casa produttrice della lega per l’ossidazione sono da considerare una semplificazione della procedura da utilizzare in laboratorio odontotecnico nella pratica quotidiana.
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